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Fondo Attilio Gigli
Documentazione del patrimonio storico artistico bolognese () interni di cortili e giardini legati al censimento che ebbe sbocco nella mostra “L’Architettura dell’Inganno” 1991
Autori: Gigli Attilio (1934 – 2005)
Laureato a Roma in Lettere e Storia dell’Arte, ha iniziato l’attività di fotografo a Torino, per poi trasferirsi a Castel San Pietro presso Bologna. Accanto all’attività professionale, spesso al servizio di enti e istituzioni culturali, ha da sempre condotto un’indagine personale partecipando anche alle attività di un gruppo di fotografi ( Cesare Ballardini, Olivo Barbieri, Guido Guidi, Giovanni Zaffagnini) che all’inizio degli anni Ottanta lavoravano sul territorio per conto di enti pubblici.
Del fondo Gigli, all'interno dell'Archivio Fotografico, fanno parte 20 stampe vintage.. Ne fanno parte altresì i negativi in bianco e nero e a colori e le diapositive appartenenti all’ Archivio pervenute in seguito all’acquisto in blocchi separati e in tempi diversi
L'archivio fotografico, dunque, per quanto riguarda la produzione di Gigli, conta al suo interno un totale di 167 pezzi – tra cui negativi in bianco e nero e a colori e diapositive – ai quali si aggiungono le 20 stampe vintage.
Le foto appartengono interamente alla campagna riguardante la mostra Architetture dell'inganno.
Dei 187 elementi componenti la raccolta solo poco più una quarantina sono rintracciabili all'interno del catalogo dell'esposizione. Molti di questi, infatti, ritraggono lo stesso soggetto più volte e da diversi punti di vista, mettendo in risalto diversi dettagli. Le altre foto presenti nel fondo e scartate dal catalogo sono quelle appartenenti, probabilmente, alla sua personale ricerca e, quindi, fuori dalla committenza della Soprintendenza. Infatti, è dall'incontro tra la sensibilità e la ricerca personale di Gigli e le esigenze di censimento e catalogo della Soprintendenza che la mostra Architetture dell'inganno ha origine
Osservando tutte le riprese del fondo Gigli si evince che la maggior parte di esse sono in bianco e nero e solo 54 si presentano a colori.
La scelta del bianco e nero, prediletto dall’autore anche in molti altri suoi lavori, sembra essere funzionale al fine ultimo dell'opera di ricerca, profondamente, da ultima, radicata nella tradizione e traduzione della calcografia.
La sensazione di fronte alle foto di Attilio Gigli è di essere presenti e partecipi del degrado che egli stesso denuncia: le sue fotografie intervengono a conservare la memoria delle fragili pareti dipinte e dei rari giardini rimasti, a diffonderne la conoscenza, a predicarne la conservazione, mentre al contempo si misurano con un problema linguistico preciso del mezzo impiegato: la traduzione della realtà operata dal tromp-l’oeil si gira su se stessa e si duplica – ancora – nello specchio della visione fotografica. Si tratta di una città verticale, vista attraverso la storia dei propri muri, veri e propri palinsesti di una lunga storia dell’”architettura dell’inganno”, che fra Cinque e Ottocento elabora sullo sfondo del dispositivo urbano uno spazio alternativo della città, nel quale essa stessa si specchia duplicandosi.
La ricerca di Gigli per il motivo della rappresentazione era stata dapprima autonoma, per incontrare poi le intenzioni della Soprintendenza di censire e tutelare questo peculiare (spesso anche “minore”) patrimonio, sfociate nella mostra del 1991.
L’intento dell’autore era stato soprattutto quello di focalizzare il tema delle relazioni tra natura e artificio, fra il giardino reale (anche se ridotto al minimo, quasi ad esile simbolo) e la mistificazione operata dalla pittura o dalle tecniche di traduzione e trasposizione quali la fotografia.
Le fotografie, com'è possibile dedurre dalle annotazioni già presenti sui registri, vengono acquistate dall'Archivio tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento.
L'intero archivio di Gigli è tuttora conservato nella proprietà privata della sua famiglia, a Castel San Pietro (BO).